Il fascino discreto di Gian Carlo Rota
Mauro Cerasoli
Università di L'Aquila
mauro.cerasoli@alice.it

Questo lavoro è dedicato a Gian Carlo
e a tutti gli amici e colleghi
che mi hanno ascoltato con pazienza
quando raccontavo per l'ennesima volta
molte delle storie qui scritte

1. Ora siamo tutti orfani
A metà marzo di quest'anno 1999 sono ritornato a vivere a Tussillo, un antico piccolo borgo di meno di quaranta anime, appoggiato alle prime montagne del Sirente, come facevo ormai da alcuni anni, dopo aver trascorso l'inverno nella casa a L'Aquila. Mentre sistemavo lo studio ricollegando i vari fili del mio pc, mi venne in mente che ormai era ora di chiedere a Gian Carlo quando sarebbe venuto in Italia. Sapevo che avrebbe dovuto tenere una conferenza ai Lincei ed un'altra all'università di Mendrisio in Svizzera. Perciò la mia prima e-mail fu per lui. Mi rispose: "Edoardo non ha rinnovato l'invito per Roma in giugno, perché non gli fai una e-mail e chiedi: quando viene Rota?, così lui si decide a fissare la data?". Scrissi perciò a Vesentini il quale, alla mia richiesta, rispose con una domanda, spedita a Gian Carlo e per conoscenza a me, che diceva semplicemente: "Va bene il 23?". Passarono altri giorni ma Gian Carlo non si decideva ad informarmi sui suoi spostamenti estivi in Italia come faceva ormai da anni. Dopo alcune settimane, non avendo più sue notizie, la sera del 21 aprile scrissi Rota su un biglietto per ricordarmi, il giorno dopo, di spedire una e-mail. Mi sembrava strano questo ritardo nel rispondere: normalmente le sue e-mail arrivavano subito dopo aver ricevuto le mie.
Ripensai così ai tempi in cui si comunicava solo per telefono (la posta ordinaria serviva per spedire gli articoli o qualche cartolina di auguri) e alle lunghe telefonate in cui, dopo aver parlato di matematica, mi chiedeva notizie dell'Italia e di altri suoi allievi. Se chiamavo io mi diceva subito: "Dove sei?". Allora, dopo aver detto il luogo, riattaccavo la cornetta e lui mi richiamava. Aveva un telefono con tariffa prepagata indipendente dal numero e dalla lunghezza delle telefonate che effettuava.
Verso mezzanotte squillò il telefono e mia moglie rispose. Passandomi l'apparecchio sussurrò: "E' un certo Palombi che ti vuole". Ebbi subito la sensazione di qualcosa di grave, infatti dopo alcuni secondi Fabrizio mi comunicò la morte improvvisa di Gian Carlo. A distanza di mesi non ricordo bene cosa risposi alla triste notizia ma credo che abbia detto, pensando ai suoi allievi ed amici: "Ora siamo tutti orfani!".
Che Gian Carlo fosse per me un secondo padre, oltre che un sommo maestro ed un caro amico, era una realtà consolidata da quasi un quarto di secolo di conoscenza, stima e simpatia. Solo allora capii il vero senso delle parole di Cristo sulla croce: "Padre, padre mio, perché mi hai abbandonato?". Improvvisamente mi resi conto che insieme a Gian Carlo se ne era andato anche il pezzo migliore della mia vita. Mi alzai dal letto e girovagai per la casa tentando di nascondere a Maria ed a me stesso le lacrime, ma fu inutile.
Pensai che non avremmo più ascoltato le sue splendide lezioni e conferenze, il timbro caratteristico della sua voce, alla Luciano Pavarotti. L'eleganza delle sue famose esposizioni mi rammentava una scena del Don Giovanni, quando il libertino minaccia Sganarello, che gli confermava il cenno della testa della statua, e conclude con un: "Mi sono spiegato?". E il servitore risponde: "Con grande chiarezza Signore. Voi vi esprimete sempre con termini precisi e concreti: è questo che c'è di veramente buono in voi, non prendete mai le vie traverse, dite sempre le cose con una nettezza ammirevole".
Non avremo più le sue frasi che ci hanno formato e che mi ritornavano man mano a caso alla memoria in quella triste notte:
La matematica abitua al pensiero generale, concettuale. La matematica è il pensiero chiaro. E' l'unica scienza ideale rigorosa che esista. La matematica è l'unico esempio di successo del pensiero teorico
La capacità di divulgare la matematica è più rara della scoperta di un nuovo teorema. Sfortunatamente, nell'attuale cervellotica scala di valori, i divulgatori non vengono ricompensati come meriterebbero.
Uno dei più insidiosi pregiudizi del nostro secolo è quello che un concetto debba essere definito con precisione per aver senso, o che un ragionamento debba essere comunque presentato a rigor di logica matematica.[...] Per usare un'immagine dello stesso Wittgenstein, i concetti filosofici sono come le viuzze tortuose di un'antica città italiana. Per apprezzarle e capirne la topografia, siamo obbligati a percorrerle e ad ammirarne le storiche bellezze. Invece i fautori della precisione, simili a dittatori carpatici, stanno radendo al suolo il centro storico della città, per sostituirlo con il Grande Raccordo Anulare della Precisione.
Confondere la matematica con l'assiomatica è come confondere la musica di Vivaldi con le tecniche di contrappunto dell'età barocca.
Si sente spesso dire che il compito della matematica è quello di "dimostrare teoremi". Se ciò fosse vero, dovremmo coerentemente affermare che il compito di uno scrittore è quello di "scrivere delle frasi".
Dio ha creato l'infinito; l'uomo, incapace di comprenderlo, ha dovuto arrangiarsi inventando gli insiemi finiti. Proprio nel perenne intrecciarsi di finito e di infinito sta il fascino del pensiero combinatorio.
Ho imparato da Kemeny una lezione basilare: un buon matematico non è necessariamente un buon soggetto.
C'è voluta una nuova generazione di matematici, la generazione di Harris, McKean, Ray, Kesten, prima che la probabilità cominciasse a essere scritta nel modo in cui viene pensata.
L'esimio studioso [...] durante tutta la vita ha ignorato il fatto che in matematica tutto ciò che è accaduto prima di Leibniz non è storia, ma paleontologia.
Un buon insegnante non trasmette nozioni, bensì entusiasmo, apertura mentale e valori.
La parola d'ordine attuale è concretezza. Ora che abbiamo imparato ad essere astratti possiamo permetterci di essere di nuovo concreti.
La matematica combinatoria è un argomento onesto. Nessuna "adèle", nessuna "sigma-algebra". Si contano le palline in una scatola e si ottiene o non si ottiene il numero giusto.
La matematica è lo studio delle analogie tra le analogie. Tutta la scienza lo è.
Spesso, in una fredda sera puritana della Nuova Inghilterra, ci si rincuora tornando con il pensiero in Italia, a quella splendida Italia che affiora nel ricordo. Si rivede allora il Golfo di Napoli incantevole sul tramonto, così come tutti i poeti l'hanno cantato da Orazio in poi. Si rivede il pastore degli Abruzzi che guida al piano le sue greggi, così come lo celebra il D'Annunzio. Si rivivono episodi di famiglia e di amicizia come in un dramma di Pirandello, o ancora, si sorride a un motto arguto di Flaiano. E si ascoltano le lezioni matematiche di Alfredo Capelli e Renato Caccioppoli. E ci piacerebbe unirci ad uno di quei gruppetti di vecchi distinti signori napoletani col gilè, seduti attorno ad un tavolino di caffè e impegnarci anche noi sulle loro elevate discussioni intellettuali. O ci si immagina che passeggiando la notte per i giardini della Reggia di Caserta, ci giungano le note di una sonata di Scarlatti. In breve: ciò che si apprezza con il vantaggio della lontananza è la vera, eterna Italia, quella di cui l'Italia reale non è che una imitazione.

Ma in quei momenti, un'altra sua famosa affermazione mi riappariva più degna di essere ricordata e confortevole: Quando le cose vanno male, noi matematici abbiamo sempre a nostra disposizione una via di salvezza di cui i comuni mortali non dispongono: possiamo sempre ritirarci in quella accogliente dimora che è la nostra matematica. E' per questa possibilità sulla quale possiamo sempre contare che noi matematici siamo Gente Eletta: il pericolo per noi è l'invidia del resto del mondo. E noi, suoi allievi, siamo stati ancora più Gente Eletta, per aver avuto la fortuna di conoscerlo ed ammirare lui e le sue opere.
Avrò pianto qualche ora prima di addormentarmi.

 2. L'incontro al Palazzone di Cortona.
Nella primavera del '75, quando da alcuni mesi Maria era in attesa di Domenico, ero stato incaricato dalla Sovrintendenza Scolastica dell'Abruzzo e Molise a tenere a Chieti le lezioni ad un corso regionale di abilitazione all'insegnamento della matematica. Con altri due colleghi di L'Aquila andai un paio di volte nella città marrucina ma i discenti, circa sessanta, ci impedirono di prendere la parola. Il '68 era lontano ma i suoi frutti velenosi e peggiori rispuntavano minacciosi. I nostri allievi non avevano alcuna voglia di seguire il corso e pretendevano l'abilitazione all'insegnamento ope legis, un termine che negli anni seguenti avrebbe minato dalle fondamenta la scuola italiana. Cercai invano di far capire che comunque dovevamo tenere le lezioni e che, essendo stati anche noi sessantottini, li avremmo in qualche modo aiutati al momento della resa dei conti. Quando al terzo incontro capii che non c'era altro da fare di fronte alla ottusità della platea, mi rivolsi a quei futuri insegnanti, che ora sono di ruolo nelle varie scuole d'Abruzzo, dichiarando che da me non avrebbero mai avuto l'abilitazione. Così mi dimisi dall'incarico e decisi di andare a seguire a Cortona, nel mese di luglio, un corso di Calcolo delle Probabilità tenuto da un certo Prof. Gian Carlo Rota organizzato dalla Scuola Matematica Interuniversitaria.
Non ricordo bene se la decisione fu presa perché questo professore veniva dal MIT, il famoso Istituto di Tecnologia del Massachussetts, e quindi doveva essere uno bravo, diciamo sicuramente migliore dei tanti docenti, spesso provenienti da Roma, che avevo avuto a L'Aquila, durante i miei studi universitari, oppure perché le sue lezioni, a differenza di quasi tutte le altre, erano in italiano.
Da tre anni infatti tenevo il corso di Calcolo delle Probabilità presso la Facoltà di Scienze, dove ancora oggi opero, e mi sembrava giunto il momento di decidermi a tentare un concorso per entrare in ruolo all'università. I corsi di Cortona, come diceva il bando, avevano lo scopo di indirizzare alla ricerca i giovani laureati in matematica con particolare riguardo per quelli, come il sottoscritto, provenienti da sedi disagiate. A quei tempi L'Aquila era la seconda università di Roma ma risultava come sede disagiata, essendo stata riaperta ufficialmente nel '64, dopo secoli di abbandono, e fu così che la mia domanda di partecipazione ai corsi di Cortona fu accolta. Non avevo allora, come non ho adesso, santi in paradiso.
Così, domenica 13 luglio 1975, con la mia Fiat Cinquecento, risalii la morbida e verde Umbria attraverso la valle del Tevere, rividi Perugia dove nel '69, ventiquattrenne, avevo vinto il mio primo concorso nazionale per l'insegnamento della matematica, ed in serata arrivai alla splendida etrusca Cortona, piena di turisti e di artisti. L'indomani iniziarono i corsi della SMI nella incantevole villa cinquecentesca nota a quasi tutti i matematici italiani come Il Palazzone. In una magnifica sala con le pareti affrescate da Luca Signorelli conobbi Gian Carlo Rota. Fu lì che per un mese ascoltai le sue mitiche lezioni, chiare ed affascinanti, iniziando ad imparare a pensare probabilisticamente, vivendo un'esperienza ed una infinità di emozioni di puro piacere.
Non ci volle molto tempo a rendermi conto che Gian Carlo non era un comune mortale o un qualunque professore di matematica. Avevo la sensazione di stare ad ascoltare un grande matematico, qualcuno come Gauss o Hilbert, che per me all'epoca erano i sommi tra i moderni. Quando l'anno dopo, sempre a Cortona, seguii il suo corso di Analisi Combinatoria, lo ritenni il Weierstrass della Matematica Combinatoria nel senso che, se il grande matematico tedesco aveva posto le basi assiomatiche dell'Analisi, dopo gli inizi romantici di Torricelli, Cavalieri, Barrow, Fermat, Leibniz, Newton ed altri, Gian Carlo aveva posto, e continuava a porre, con tanti allievi, le pietre miliari della Matematica Combinatoria dopo Tartaglia, Cardano, Stiefel, Pascal, Montmort, per fare alcuni nomi.
Trovai la conferma a questa mia impressione, al fatto cioè che avevo davanti un grande matematico, ma già cominciavo a conoscere il grande uomo, il gentiluomo che è stato, qualche anno più tardi, quando nelle memorie di Stanislaw M. Ulam [U] lessi questo brano: "All'inizio rimasi colpito dalla capacità di Rota di orientarsi in molti e diversi settori della matematica e dalle opinioni che egli esprimeva in molte aree di ricerca, manifestando non solo una rara erudizione, ma anche molto senso pratico. E' sempre più raro oggi trovare una persona che conosca la storia dello sviluppo delle principali teorie matematiche, ciò è dovuto alla crescente specializzazione che ha caratterizzato gli ultimi venti anni o più della nostra era. Rota mi impressionò per la sua conoscenza di alcuni argomenti matematici ormai semi-dimenticati, quali i lavori di Sylvester, Cayley ed altri sulla teoria classica dell'invarianza, e per la maniera in cui riusciva a far connessioni fra i lavori dei geometri italiani e quelli dei geometri grassmanniani e a modernizzare molte di queste ricerche che risalivano al secolo scorso.[...] Proposi che Rota fosse invitato a Los Alamos per una visita, quale consulente. Da allora in poi vi si reca periodicamente ed i suoi pareri si sono dimostrati molto utili in molti settori, compresa l'analisi numerica che riveste un ruolo di grande importanza in molti problemi di calcolo connessi all'uso del calcolatore. La personalità di Rota mi è molto congeniale. La sua vasta istruzione, l'interesse attivo per la filosofia (è un esperto dei lavori di Edmund Husserl e Martin Heidegger) e, soprattutto, la sua conoscenza del latino classico e della storia antica, hanno fatto in modo che egli colmasse il vuoto lasciato dalla perdita di von Neumann. In effetti spesso gareggiamo nel fare citazioni prese da Orazio, Ovidio ed altri autori."
Una sera, tornando dopo cena da Cortona al Palazzone, confidai a Gian Carlo la mia sorpresa a proposito della presenza di numeri come e e p, fondamentali in Analisi, in problemi di Combinatoria, una disciplina che riguarda soprattutto insiemi finiti. Un esempio del mistero che avvolge il rapporto tra discreto e continuo. "Mi meraviglio della sua meraviglia, Dott. Cerasoli", mi rispose, e continuò: "ma lei sa quali sono i numeri naturali?" Allora mi dava del lei ed io timido e titubante, incerto se zero era o no un numero naturale, risposi:" Zero, uno, due, tre, ecc.". E Gian Carlo concluse la chiacchierata dicendo: "Lei si sbaglia. I numeri naturali sono: zero, uno, due, e, tre, pi greco, quattro, ecc.". Rimasi fulminato da questa affermazione e tacqui. Ma oggi, come qualche anno più tardi ebbi a dirgli, appresa la sua lezione, credo ancora che i numeri naturali siano: zero, 1/e, il numero d'oro (Ö5-1)/2 pari a 0,618..., uno, due, e, tre, pi greco, quattro, il numero di Feigenbaum, cinque, ecc.
Quell'estate a Cortona imparai varie cose ma due sono rimaste impresse nella mia mente e che non scorderò mai più. La prima è la sua teoria del calcolo umbrale ([MR] ed [RR]) ed a cui ho lavorato in [C1] e [C2], i miei primi articoli. In proposito ecco quanto scrive Mark Kac nell'autobiografia [K], quando parla di un suo metodo scoperto da ragazzo per risolvere le equazioni di terzo grado: "Pochi anni fa Gian Carlo Rota, una delle più giovani stelle della matematica americana, e mio amico, tenne una conferenza sul calcolo umbrale alla Rockefeller University (era una nuova formulazione della teoria degli invarianti) durante la quale illustrò, fra gli altri, un famoso teorema di Sylvester sulle forme omogenee in due variabili, e, come per inciso, accennò a una utilizzazione di quel risultato alla risoluzione delle equazioni cubiche. Dopo le prime parole fui colto da una sensazione di déjà vu: era il mio metodo, il metodo che avevo scoperto in quell'estate del 1930!".
La seconda è che esistono soltanto cinque processi stocastici fondamentali: il processo finito, di Bernoulli, uniforme, di Poisson, di Wiener-Levy. Qualche mese prima della morte, John Guidi, il più giovane allievo di Rota al MIT, mi inviava gli appunti manoscritti [G] dell'ultimo corso di probabilità tenuto da Gian Carlo, a distanza di due dozzine di anni, e fondato ancora sullo studio concreto di questi cinque processi fondamentali e delle loro variazioni. Alla faccia delle teorie astratte della probabilità, basate sulla teoria della misura di Lebesgue, per cui alla fine del corso nessuno studente è in grado di calcolare la probabilità di un terno al lotto o di fare poker d'assi servito né ha mai visto un mazzo di carte o una coppia di dadi: la riga ed il compasso della probabilità..
Rota ha tenuto altri corsi a Cortona: nell'80 sui processi puntuali, nell'83 sulla teoria delle specie di Joyal e l'anno passato un corso di Combinatoria.

 3. Il padre dell'Analisi Combinatoria moderna
Nel luglio del '76 Rota tornò a Cortona per tenere un secondo corso di Analisi Combinatoria, il primo risaliva al '74, ed io, ovviamente, partecipai. Appresi così che nel '64 il suo articolo [R1] aveva dato l'avvio ad una serie di lavori sui fondamenti dell'Analisi Combinatoria, tra cui [CR], [MR], [DRS] ed altri raccolti in [Ku], apparsi poi come capisaldi nell'ormai classico tratto [A] di Martin Aigner. Decisi perciò di dedicarmi seriamente allo studio di questo ramo della matematica. Tra le varie cose ero rimasto colpito dal suo modo geniale di astrarre dal principio di inclusione-esclusione e dalla teoria delle funzioni aritmetiche, la teoria delle funzioni di Möbius su un insieme parzialmente ordinato: un fatto che oggi ogni combinatorico conosce alla perfezione.
A proposito delle funzioni aritmetiche desidero ricordare un episodio. Naturalmente, dopo il primo incontro del '75 ero tornato a L'Aquila raccontando ad amici e colleghi il piacere e la sorpresa di aver conosciuto un grande matematico. Tra questi c'era Franco Eugeni, che mi propose di chiedere a Rota se era vero il teorema di Cashwell-Everett sulla fattorizzazione unica delle funzioni aritmetiche. Franco mi diceva che il mio professore di algebra, Francesco Pellegrino, con il quale a quei tempi lavorava proprio sulle funzioni aritmetiche, era scettico sulla validità della dimostrazione di quel teorema. "Il teorema è vero" rispose tranquillamente Rota quando gli posi la questione, subito all'inizio del corso. Avevo incontrato la persona che dalla funzione aritmetica di Möbius dell'inizio del secolo scorso stava ponendo le fondamenta della moderna Analisi Combinatoria. Come si dice: l'uomo giusto al momento giusto.
Il principio d'inclusione-esclusione, noto anche come formula di Poincaré, ha una storia a parte nell'estate del '79. Verso la fine del '78 avevo avuto tra le mani un articolo di Herbert Wilf [W] e mi ero accorto che se si invertiva, in un certo modo, l'approccio al principio, era possibile dimostrare più facilmente, quasi in modo banale, il teorema ed alcune delle sue conseguenze più famose, come le disuguaglianze di Frechet e di Bonferroni. Decisi di parlarne a Rota appunto l'estate successiva a Perugia dove egli avrebbe tenuto un altro dei suoi famosi corsi sulla probabilità. Tra l'altro, fu in quella occasione che mi propose di collaborare alla stesura del volume [BCR] di probabilità che Carlo Pucci, a nome dell'UMI, l'Unione Matematica Italiana, gli aveva commissionato qualche mese prima.
Quando gli parlai della mia idea sul principio d'inclusione-esclusione, al quale lui e Ottavio D'Antona avevano dedicato alcuni lavori l'anno precedente, mi disse subito: "Allora tutte le proprietà derivanti dal principio d'inclusione-esclusione sono conseguenza diretta di quelle dei coefficienti binomiali!". Gli feci notare che non afferravo completamente la sua esclamazione ed egli aggiunse: "Ma lei non ha capito la sua idea!". Così per capire bene la mia idea, o la sua frase, impiegai quasi un mese: quel caldissimo mese di luglio del '79 che passai appunto a Perugia a lavorare sulla formula di Poincaré e sulle sue conseguenze. Il risultato del chiarimento di quella frase furono i due articoli [C3] e[C5].
Durante il lavoro ebbi il sospetto che fossero false le disuguaglianze di Gumbel perché non riuscivo a dimostrarle col "mio" metodo dei coefficienti binomiali, e glielo dissi. Gian Carlo rispose che era un po' azzardata la mia congettura. Qualche giorno dopo trovai un contro-esempio e, pur non essendo certo della mia scoperta, dopo pranzo gli dissi: "Scommettiamo che sono false?". "Ok", rispose lui, " ci scommettiamo un Chivas Regal. Ci vediamo verso le sei ai tavolinetti della Perugina in Corso Vannucci". Chiunque può immaginare la mia emozione quando, puntuale come non mai, circondato al tavolino da tanti turisti e perugini a passeggio, gli illustrai il contro-esempio. Ci scolammo tre whisky a testa che lui, anche se non avesse perso la scommessa, come era suo costume, avrebbe comunque offerto.
Qualche anno più tardi, in occasione di un Seminario Lotharingiano di Combinatoria, raccontai a Comtet dell'episodio. Louis mi promise che, se ci fosse stata una nuova edizione del suo libro [C], in cui avevo trovato le disuguaglianze di Gumbel, le avrebbe tolte.
Credo che i miei lavori sulla formula di Poincaré e sulla randomizzazione di Schrodinger [C4] piacquero davvero a Gian Carlo e sono convinto che furono quelli a farmi scrivere la voce Analisi Combinatoria [C6]. La storia è questa; una sera telefona dicendomi che ha ricevuto dall'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani l'incarico di scrivere la voce Analisi Combinatoria. La stessa voce era stata scritta dieci anni prima da Enrico Bombieri. Non faccio in tempo a congratularmi con lui di questo onore che taglia corto e mi dice che non ha alcuna voglia e tempo di scriverla: vuole che la scriva io. Felice ed onorato della proposta, accetto solo a condizione che lui riveda il manoscritto prima della pubblicazione. Fu così che a Milano, a giugno '89, gli porto le tre paginette del lavoro fatto; nella hall dell'albergo legge attentamente il mio articolo e alla fine della lettura dice solo: "Tutto a posto".
Memore che l'anno prima aveva scritto una splendida presentazione al nostro volume [CEP], gli chiedo se, almeno per una volta, non come ringraziamento, ma solo come piacere di un amico, posso offrirgli una cena, anche per festeggiare l'avvenimento. Ormai lo conoscevo da più di una dozzina di anni e non mi ricordavo mai una volta in cui ci eravamo alzati da tavola ed io avessi potuto offrirgli un pranzo o una cena. In genere offriva lui, indipendentemente dal numero dei commensali, o si faceva alla romana. Anche a Strasburgo, in occasione del conferimento della laurea honoris causa, offrì la cena ad una decina di suoi allievi, ad uno dei migliori ristoranti, Le Crocodile, dove non si entrava senza cravatta. Quando gli dissi, al termine della cena, "Questa laurea ti costa una tombola!" mi rispose "posso rivelarti la spesa: l'anticipo sui diritti d'autore del nostro libro di probabilità", di cui gli avevo portato una copia fresca di stampa dall'Italia. Sapevo esattamente la somma perché anch'io l'avevo incassata e passata al falegname, per un magnifico tavolo in noce massello, lungo tre metri e mezzo, che ora troneggia a Tussillo nel salone di casa.
Ma ritorniamo a Milano dove Gian Carlo aveva accettato di venire ospite a una cena con me. Naturalmente gli dico di scegliere il ristorante che preferisce e decide di andare in quello dove il padre lo portava, da Vigevano, quando era ragazzo e viveva ancora in Italia. Non ricordo più il nome del ristorante ma ricordo bene che misi in tasca vari biglietti da centomila, libretto degli assegni e carta di credito. Non volevo fare brutte figure perché ricordavo anche una sera a Pisa, al ristorante "Da Sergio", tre anni prima. Gian Carlo aveva concluso le sue Lezioni Fermiane alla Normale, ascoltato da Ennio De Giorgi, Giorgio Letta, Luigi Radicati ed altri eminenti matematici, sulla Geometria Integrale. Per festeggiare invitò a cena me ed Andrea Brini (di cui mi disse una volta, riferendosi ai suoi allievi italiani: "E' il migliore"). Gian Carlo saldò un conto di circa mezzo milione.
Così dall'Hotel Duca di York dove alloggiava, con un taxi, andammo al ristorante. Capii subito che avevo fatto bene ad armarmi di lire perché l'ambiente era esattamente il complementare di quelli in cui appare la scritta menu turistico. Il miglior ristorante di L'Aquila, le Tre Marie, mi sembrava una locanda o trattoria di campagna al confronto. Fatto sta che alla fine della cena chiamo il cameriere e chiedo il conto; questi mi risponde gentilmente: "Ha già pagato il signore" indicando Gian Carlo. Non sono mai riuscito a capire: quando! Sul quanto c'era poco da far congetture. E' ovvio che ringraziai Gian Carlo per l'ennesima volta ma non dissi: "Grazie, ricambierò al più presto" perché avevo calcolato quasi nulle le probabilità di potergli offrire un pranzo al ristorante. Credo che gli unici pranzi che sono riuscito ad offrirgli sono stati quelli a casa mia e di mio padre.

 4. Matematico e filosofo
Prima di conoscere Gian Carlo ritenevo Henri Poincaré e Bertrand Russell gli ultimi grandi matematici filosofi di questo secolo: mi sbagliavo.
La parola filosofia comparve per la prima volta una mattina di luglio del '76 quando, al Palazzone, la segretaria chiese a coloro che seguivano il corso di Rota se qualcuno poteva accompagnare il professore a Perugia in macchina nel pomeriggio. Doveva partecipare a un convegno di filosofia al convento di Monte S.Angelo. Forse ero l'unico a possedere un'automobile e così un po' per curiosità, un po' perché avevo capito che qualche minuto di colloquio col professore valeva molto di più di tante ore di lezioni ascoltate da altri docenti, ricordando il proverbio che mia madre mi diceva da bambino: vai con chi è meglio di te e pagagli le spese, un po' perché si cenava al convento con i frati, un po' per rivedere l'amata e cara Perugia, mi offrii di accompagnarlo.
Durante il viaggio parlammo di politica ed io, pur sapendo che lui era consulente matematico a Los Alamos, e quindi sospettando che non avesse simpatie per i comunisti, gli dissi chiaro e tondo che votavo il PCI. Visto che mentre scrivo è a capo del governo Massimo D'Alema, anch'egli un tempo del PCI, posso dire che, almeno per l'Italia, ho avuto ragione a votare in quel modo, anche se ora non voto più per i DS né per altri partiti comunisti.
Gian Carlo mi aveva chiesto notizie di Luigi Longo e voleva sapere di più sulla situazione politica italiana. Forse fu allora che mi confessò il vero motivo per cui suo padre aveva lasciato l'Italia subito dopo la fine della guerra, portando la famiglia a Quito, in Ecuador. Temeva che i comunisti, prima o poi, invadessero l'Italia dalla Yugoslavia (e non solo per il motivo riportato da Giuseppe Bottazzini in [B] o nel sito www del MIT). Ricordo che riparlammo di politica quando Edoardo Vesentini fu eletto senatore, da indipendente nelle liste del PCI, e lui mi telefonò per sapere come stavano in realtà le cose. Un'altra volta fu quando gli chiesi per chi votava e lui rispose: "Per Reagan, perché ci dà i soldi per la ricerca".
Arrivammo, così discorrendo, dopo aver ammirato il bel lago Trasimeno che mi ricordava la sconfitta dei romani da parte di Annibale, a Monte S.Angelo. Il convegno era già iniziato ed io non capii quasi nulla di quello che dicevano quei filosofi. Eppure avevo fatto il famoso Liceo Classico degli Abruzzi riportando otto in filosofia. Quando lo confessai a Gian Carlo mi disse che erano tutti termini tecnici, un po' come la matematica, e se non si conoscono, non si segue il discorso. Egli parlava tranquillamente con i convegnisti, come se li conoscesse da tempo, di cose di cui non capivo niente, anche a causa dell'inglese. L'unica frase di cui afferrai il senso, rimanendo onorato, fu quando fece la mia presentazione ad un professore di Miami dicendo: "This is a mathematician". Un altro fatto ricordo con piacere di quella sera: la cena frugale al refettorio del convento, servita da umili fraticelli, a fianco a Gian Carlo.
L'ho accompagnato altre volte in macchina, con le mie modeste automobili ma una volta, prima di salire a Cortona per Roma, pretese di pagare un pieno di benzina. "Altrimenti vado in treno" intimò con una gentilezza diametralmente opposta a quella famosa di William Feller. Quando da L'Aquila nel '90 lo accompagnai a Gaeta al Congresso di Combinatoria organizzato da Giuseppe Tallini, con la mia vecchia Peugeot 305 che ogni tanto scoppiettava, mi disse che reputava basse le probabilità di arrivare a Gaeta con quella macchina. Infatti qualche giorno prima ero andato a prenderlo a Pescara, proveniente da Bologna, con la Mercedes di un amico.
Alla fine di febbraio ho acquistato un Mitsubishi Pajero 2500 Turbo Diesel ed ero contento di poterlo accompagnare questa estate da qualche parte, finalmente con una mia macchina degna di lui: il destino lo ha impedito.
Avevo letto Rota filosofo in quel colloquio con David Sharp (ristampato in [R4]) ed in altri suoi articoli ma la prima volta che lo udii parlare in pubblico di filosofia fu il 13 ottobre del 1989, all'Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, quando tenne una conferenza dal titolo The Concept of Mathematical Truth al convegno La verità nella scienza (pubblicata poi in [R4]). L'anno successivo a L'Aquila, prima del conferimento della laurea h.c., espose quella che poi diventò La nefasta influenza della matematica sulla filosofia, conferenza ripetuta a Bologna qualche giorno dopo, in occasione dell'assemblea ordinaria dei soci dell'UMI (anche questa ripubblicata in [R4]).
Sempre in quella occasione Rota tenne a L'Aquila un corso integrativo; alla fine mi lasciò il suo libretto di appunti dove lessi quanto segue, a proposito della conferenza, già tenuta negli Stati Uniti: "E' la terza volta in tre mesi che tengo una conferenza su questo argomento. La prima è stata tenuta per invito della riunione annuale della Società Americana di Metafisica, ed è stata accolta molto favorevolmente. La seconda è stata tenuta per invito alla Rutger University, grande centro della filosofia analitica, e lì ho dovuto abbandonare la sala sotto scorta, appena terminato il discorso. Quella di oggi è la terza conferenza e, in un certo senso, si può considerare un completamento filosofico della conferenza d'Ateneo sulla intelligenza artificiale che ebbi l'onore di tenere a Bologna, cinque anni fa, e che è stata pubblicata sul Bollettino UMI. Ho conservato deliberatamente nel testo alcune frecciate che erano rivolte ad un pubblico americano, e che potrebbero risultare superflue per questo uditorio certamente meglio preparato. Spero che queste considerazioni possano servire a valutare la gravità della rinnovata diffusione del meccanicismo in America e altrove".
La conferma definitiva dell'importanza di Rota nel mondo filosofico di oggi mi venne quando lo ascoltai di nuovo a Napoli, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, fondato da Benedetto Croce, in un ciclo di conferenze dal titolo Phenomenology and the foundations of mathematics, a dicembre del '90. Fu lì che conobbi il suo nuovo allievo di filosofia, Fabrizio Palombi, curatore dei volumi [R4] ed [R6].
L'ultima volta che ho riparlato di filosofia con Gian Carlo è stato circa tre anni fa quando mi chiese che cosa studiava mio figlio Domenico all'Università. Risposi: filosofia!. " E dopo cosa mangerà?" fu il suo sincero commento, caratterizzando così il futuro dei moderni filosofi. Mio figlio replicò dicendo che Chicco Testa, presidente dell'ENEL, e Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, sono laureati in filosofia. Per la cronaca, cinque deputati europei italiani sono laureati in filosofia. Aveva ragione Platone quando diceva che la Repubblica deve essere guidata dai filosofi!
Dalla filosofia è facile passare alla politica, come si è detto all'inizio di questo paragrafo. Così vorrei chiuderlo ricordando un altro bell'episodio della collaborazione con Gian Carlo.
Nel luglio del 1983, seduti un pomeriggio ad un bar della piazzetta di Cortona, stavamo ultimando la prefazione al nostro libro di probabilità. Alla fine del foglio io scrissi la data: 25 luglio 1983. Gian Carlo mi fece notare, alludendo a suo padre, che non la gradiva: ricordava la caduta del fascismo. Allora proposi il 29 luglio. Lui mi chiese il perché ed io risposi che c'era una canzone che mi piaceva, di cui non ricordo il titolo, che diceva: "... il 29 luglio, quando si miete il grano, è nata una bambina con una rosa in mano". Lui accettò e così nella prefazione appare la finta data del 29 luglio 1983. Qualche tempo dopo ho scoperto che il 29 luglio 1900 era stato assassinato a Monza il re Umberto I, da cui era nata la canzone. Ma, contemporaneamente, approfondendo i miei studi sui fondamenti della probabilità, ebbi a scoprire che il 29 luglio 1654 Blaise Pascal scriveva a Pierre de Fermat: "La verità è la stessa, a Tolosa come a Parigi", aprendo un lungo carteggio tra i due grandi matematici che avrebbe posto le prime basi del calcolo delle probabilità.

 5. Los Alamos
Nei ricordi della mia fanciullezza Los Alamos veniva confuso con Alamo, dove Davy Crockett-John Wayne difendeva lo spirito americano contro i messicani. Perciò in seguito, quando leggevo Los Alamos, non potevo fare a meno di pensare a indiani, cow boys, canyons e fucilate. Ma Los Alamos entrò seriamente nella mia vita nel '66, da due anni studente di Matematica, quando lessi Gli apprendisti stregoni, storia degli scienziati atomici, il meraviglioso libro [J] di Robert Jungk sulla bomba atomica.
Durante l'appassionata lettura non avevo notato tra i grandi nomi di Einstein, Fermi, Oppenheimer, Teller ed altri, quello di Stanislaw Ulam. Sono andato a rileggere quelle pagine dopo che Rota mi parlò della sua collaborazione con i famosi laboratori e di Ulam. E' per questo che quando parlavo con lui credevo di stare a contatto con i grandi matematici e fisici protagonisti del libro di Jungk. Non ricordo più la prima volta che parlammo della sua collaborazione con Los Alamos né quando gli chiesi cosa andava realmente a fare lì. A distanza di anni credo, o mi fa piacere credere, che lì creasse, tranquillo, lontano dagli studenti e dagli impegni didattici, il meglio delle sue opere. Mi disse una volta che il suo lavoro consisteva nel dire agli ingegneri che certe equazioni non lineari non potevano essere risolte al calcolatore.
Doveva essere il 1983 perché il dollaro stava sulle 1800 lire e da due anni avevo vinto il concorso per Professore Associato. Gian Carlo iniziò a chiamarmi Mauro, invece di Dott. Cerasoli, e così spesso mi spingevo a parlare con lui anche di cose personali. Un giorno gli chiesi cosa provava a lavorare in un posto dove si fabbricavano armi tra le più micidiali. La sua risposta fu: " Se non ci vado io, prendono un altro. E poi mi danno mille dollari al giorno!". Poiché era la prima volta che mi capitava di parlare con qualcuno che guadagnava così tanto con la matematica (Bill Gates era ancora da venire), gli chiesi quanti giorni l'anno andava a Los Alamos. Mi rispose che in genere stava lì il mese di Agosto, e, casualmente, durante il resto dell'anno, ma che, in teoria, poteva andarci quando voleva e all'improvviso.
Questa collaborazione di Rota con il Governo Americano mi faceva pensare, andando indietro nella storia della matematica, a Talete e Creso, Archimede e Gerone, Leonardo e Francesco I di Francia, Galileo ed il Doge, Cartesio e Cristina di Svezia, Eulero e Caterina di Russia, Laplace, Fourier, Monge e Napoleone fino a Turing e al Governo Inglese. Poi, ogni tanto, mi chiedevo: chi posso accoppiare col Governo Italiano?
Ma per Los Alamos c'era un prezzo da pagare: la reperibilità. Difficilmente infatti Rota accettava di stare in un posto in cui non fosse possibile essere raggiunti telefonicamente e, negli ultimi anni, dalla e-mail. Tra i vantaggi c'era però quello, poco amato da Ulam, di partecipare a riunioni con pezzi grossi del governo americano e con il capo della CIA. Per me, negli anni settanta sarebbe stato un grande onore. Ai tempi della guerra fredda, suggestionato dai film di 007, ho avuto più volte il timore che venisse rapito da una potenza straniera. Questo timore si presentava spesso quando mi trovavo a passeggiare da solo con lui, in particolare una volta sotto i portici bui di via Zamboni a Bologna (o sul lago, nel '79, quando da Varenna, dove si svolgeva il corso sulla teoria delle matroidi, lo accompagnai a Como a trovare la madre). Mi aveva confessato che era senz'altro controllato da parte dei russi ed una prova poteva essere il caso Ambartzumian.
Costui, uno specialista delle probabilità geometriche, aveva scritto Combinatorial Integral Geometry. Come è ben noto, i random flights fanno parte di questa disciplina e si ritrovano nella guerra aerea oltre che in tanti altri campi. Rota stava per ricevere un grosso premio, credo il premio Steele se ricordo bene (che vinse appunto per il suo lavoro pionieristico [R1]). Prima che la notizia del conferimento diventasse di pubblico dominio, Ambartzumian gli inviò i complimenti dalla Russia e Gian Carlo non sapeva spiegarsi come avesse fatto a sapere del suo premio, una cosa ancora riservata e che sapevano solo lui e i membri della commissione giudicatrice. Concluse supponendo che il matematico russo doveva essere molto vicino al KGB e ai servizi segreti russi che, ovviamente, sapevano tutto!
Con il volume sulla geometria integrale e probabilità geometriche di Louis Santalo [S] era iniziata nel '76 la ormai mitica Encyclopedia of Mathematics and Its Applications inventata e diretta da Rota. Sempre sul tema della probabilità geometrica Gian Carlo aveva tenuto quelle splendide Lezioni Lincee alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel dicembre del 1986 ed ora raccolte definitivamente in [KR]. Uno dei primi a capire l'idea base della probabilità geometrica era stato proprio Ulam: il lancio ripetuto di una moneta equivale a scegliere a caso un punto su un segmento. E la geometria non nasce forse dai segmenti, cioè dalle corde tese? L'aspetto geometrico della probabilità è stato da sempre negli interessi scientifici di Rota perché la Geometria è come il primo amore: non si scorda mai.
In occasione della laurea h.c. a L'Aquila Gian Carlo mi chiese cosa facevano i nostri colleghi fisici nei laboratori del Gran Sasso e manifestò il desiderio di visitarli. Risposi che gli eredi di Fermi studiavano i neutrini ma che non ci avevo mai messo piede perché amo poco le grotte. "Ma veramente credi che studino neutrini?" fu il suo commento, "Lo sai che a Los Alamos ci sono le mappe dettagliate dei laboratori del Gran Sasso?".

 6. Le lauree honoris causa
A dicembre del 1984 fu conferita a Rota la laurea in Matematica, honoris causa, dall'Università di Strasburgo. Artefice dell'operazione fu Dominique Foata, amico fraterno e collaboratore di Gian Carlo da vecchia data. Qualche anno più tardi, chiesi ad Armando Reale, mio collega di Fisica e Preside della Facoltà di Scienze, di iniziare le pratiche per il conferimento della stessa laurea da parte dell'Università di L'Aquila. La mia proposta gli piacque visto che lui si stava organizzando per una laurea in Fisica a Mario Ageno. All'inizio, oramai eravamo al 1988 se ben ricordo, andò tutto liscio e mi sembrava un po' strano, e quasi miracoloso, che un semplice professore associato come me potesse conferire una laurea h.c.. Anche il CCL ed il Dipartimento di Matematica furono d'accordo.
Qualche giorno prima che la mia proposta venisse discussa e quindi approvata dal Consiglio di Facoltà, fui convocato da Lionello Pasquini, allora direttore del Dipartimento, perché due colleghi che chiameremo mg ed mp, entrambi professori ordinari, assenti alla precedente riunione, volevano parlarmi della questione della laurea. Capii subito che costoro tergiversavano e che avevano soltanto la pura e semplice volontà di farmi recedere dalla mia proposta e mettere tutto a tacere. Dapprima iniziarono col dire che non era mai stata data una laurea h.c. e che quindi bisognava fissare dei criteri per il conferimento. Poi, quando chiesi quali potevano essere, feci notare che il criterio che per una laurea h.c. ci volesse una lunga storia di collaborazione del futuro laureando con l'Università, cozzava con il fatto che il laureando fosse giovane. Un Gauss e un Thomas Mann (ne ebbe una cinquantina tra i 25 ed i 30 anni) non avrebbero mai avuto una laurea h.c.. Su un punto li inchiodai: che, per ogni insieme fissato a piacere di criteri non contraddittori per l'assegnazione di una laurea h.c., Gian Carlo Rota li avrebbe soddisfatti tutti. Insomma, per farla breve, li mandai tutti e tre all'altro paese sfidandoli alla riunione di Facoltà per la decisione finale. Fu lì che mp tanto fece e tanto disse sui criteri di assegnazione che il preside Reale, vedendo sfumare la possibilità di un conferimento all'unanimità, rimandò salomonicamente la decisone finale alla successiva seduta del Consiglio di Facoltà.
Si può immaginare il mio stato d'animo in quell'occasione ma non mi sentivo sconfitto. Fu così che feci alcune telefonate ed inviai varie lettere ad estimatori di Gian Carlo in particolare ad Adriano Barlotti, Bruno Simeone e Giuseppe Tallini per perorare la mia causa. Bruno rispose entusiasta portando a favore della mia iniziativa, tra l'altro, il seguente giudizio su Rota: " Ciò che colpisce immediatamente nel Prof. Gian Carlo Rota è la straordinaria vastità del suo sapere matematico, che spazia dalla matematica combinatoria all'analisi funzionale, dall'algebra commutativa al calcolo delle probabilità, dagli insiemi parzialmente ordinati all'informatica. Per quanto io mi sforzi, non riesco a pensare a nessun altro matematico in attività, italiano o straniero che sia, che sappia più matematica di lui. Quest'aspetto mi colpì subito venti anni fa quando incontrai il Professor Rota per la prima volta, in occasione di un convegno in Ungheria, il mio primo convegno internazionale. Erano presenti altri grandi matematici: Erdos, Van der Waerden, Renyi, Lovasz, (allora agli inizi della sua carriera); ma il Prof. Rota mi impressionò più di tutti, al punto che andai da lui e gli chiesi: "Ma quante ore al giorno bisogna studiare per diventare Gian Carlo Rota?". Mi guardò per un attimo, e poi rispose: "You are on the wrong way, boy". [...] L'ampiezza delle sue conoscenze gli ha consentito molto spesso di scoprire collegamenti profondi tra diverse branche della matematica. La sua teoria dell'inversione di Möbius, che unifica e generalizza numerosi risultati di teoria dei numeri, matematica combinatoria e teoria degli insiemi parzialmente ordinati, è un monumento di eleganza e nitore concettuale".
Giuseppe Tallini rispose così: "Egli è uno scienziato di primo piano. Le sue idee geniali hanno apportato contributi fondamentali a vari campi della matematica moderna che spaziano dall'analisi combinatoria al calcolo delle probabilità, dalla teoria delle matroidi alla geometria combinatoria. Egli inoltre ha fondato e dirige una importante Scuola di Combinatoria a livello internazionale ed ha diversi ottimi allievi anche in Italia".
Naturalmente telefonai a Gian Carlo informandolo delle difficoltà che stavo incontrando. Mi chiese chi erano costoro, per lui illustri sconosciuti, ed io risposi che mp era un neo vincitore di cattedra, allievo di Alessandro Figà-Talamanca. Lui mi disse che Alessandro, che è stato per un periodo Presidente dell'UMI, aveva conosciuto ad una festa tra matematici a casa sua a Cambridge, la donna che poi sarebbe diventata la signora Figà-Talamanca. Fatto sta che qualche settimana dopo, quando il Prof. Armando Reale chiese alla Facoltà di Scienze chi avesse qualcosa da dire contro il conferimento della laurea a Gian Carlo Rota, nessuno alzò la mano per prendere la parola e la laurea fu conferita all'unanimità.
Alla cerimonia parteciparono anche sua sorella Ester la zia Rosetta Rota, moglie del grande scrittore abruzzese Ennio Flaiano. Gian Carlo mi aveva parlato più volte di Ennio e dei suoi motti, in particolare era convinto, ed io con lui, che Federico Fellini, dopo la clamorosa rottura con Flaiano, aveva diretto film che non avevano più niente a che vedere con I vitelloni, La strada, La dolce vita, 8 e ½, tutti sceneggiati da Ennio. Avevo letto varie opere di Flaiano e molte mi sono state donate da Gian Carlo. Egli, quando veniva a Milano per le sue conferenze, che io di solito ascoltavo, andava a trovare sempre sua zia a Lugano. Rosetta allora gli regalava copie delle ultime ristampe delle opere di Ennio edite da Scheiwiller, come L'uovo di Marx. Gian Carlo, a sua volta, ne donava una a me.
Rota ha ricevuto una laurea h.c. in Informatica dall'Università di Bologna nel 1996. Nella primavera del '98 mi confidò che l'Università di Pechino gli aveva conferito un'altra laurea h.c. in Matematica ma che mancava la conferma da parte del Governo Cinese. Perciò mi pregò di non divulgare la bella notizia fino a quando non fosse completo l'iter burocratico. Non ho più saputo niente della cosa ma quando in aprile, appresa la morte di Gian Carlo, telefonai alla zia per sapere come era successo, Rosetta mi rivelò in lacrime che il nipote era in procinto di recarsi in Cina per ricevere quella laurea.

 7. Un piccolo omaggio
Caro Gian Carlo, hai sempre amato le dimostrazioni semplici ed eleganti, elementari, anzi dicevi che ogni teorema complicato presto o tardi diventa banale, come hai fatto vedere per il teorema dei numeri primi. Una volta mi dicesti che l'ultimo teorema di Fermat, nonostante tutti i tentativi andati a vuoto per dimostrarlo, non avrebbe dato alcun impulso al progresso della matematica. Oggi, che pare sia stato definitivamente dimostrato, la tua congettura sembra avverarsi. Era solo una sfida, tipo la conquista dell'Everest, dopo, niente che ci riguardi ma i geometri algebrici e gli esperti della teoria delle funzioni di variabile complessa ridono soddisfatti. Non mi dicesti un giorno che l'Analisi Matematica non avrebbe avuto un futuro se non avesse sfruttato le idee della probabilità? I teoremi di convergenza dell'Analisi Funzionale non sono stati rubati e copiati al mondo della dea greca Tuch, al mondo del caso? Il primo e più semplice teorema sulla convergenza in misura non è forse la generalizzazione del teorema che, nella teoria delle probabilità, va sotto il nome di legge dei grandi numeri, scoperta da Giacomo Bernoulli prima del 1713?
Appena ci siamo conosciuti a Cortona nel '75 ti confessai che non mi piaceva la teoria della misura ed il suo uso per studiare la probabilità. Il tuo commento fu:"La teoria della misura sta alla probabilità come lo stucco messo male sta ad una parete: prima o poi casca". Un'altra cosa che mi dava fastidio era la dimostrazione del teorema centrale (ma anche di altri teoremi) con tecniche di analisi matematica: ancora bisogna trovare la dimostrazione giusta, probabilistica! Quando entrerà pienamente nel mondo dei matematici il pensare probabilistico, l'interpretazione probabilistica di concetti di Algebra e di Analisi Matematica per esempio, così come l'analoga interpretazione geometrica?
Un altro tarlo che mi rodeva era la dimostrazione, riportata anche sul nostro libro a pag. 254, del fatto che l'integrale di exp(-x2) su tutto l'asse reale fosse uguale a Öp. Ciò che mi dava fastidio era l'uso di un integrale doppio per calcolare un integrale semplice, anche se la lunghezza della dimostrazione era di due righe. Perché bisogna salire di dimensione, da uno a due? Tu mi dicesti che non ne conoscevi un'altra più semplice. Ora credo di averla trovata, anche se lunga, ma non c'è alcun salto di dimensione. Te la dedico.
Consideriamo la sommatoria dei coefficienti binomiali 2n sopra n+r per r che va da -n ad n: essa vale 4n. Detta somma può scriversi anche come (2n)!/(n!2) moltiplicato la sommatoria di 1/[(n-r)!(n+r)!] (che è uguale anche al prodotto di (1-j/n)/(1+k/n) per j che va da 0 ad r-1 e k che va da 1 ad r), sempre per r che va da -n ad n. Approssimando 1-j/n con e-j/n ed analogamente 1+k/n con ek/n, quando n è abbastanza grande, la sommatoria diventa di
exp(-r(r-1)/(2n))/exp(-r(r+1)/(2n)) = exp(-r2/n)
Così, dividendo per Ön, abbiamo l'approssimazione asintotica della sommatoria di exp(-r2/n)/Ön, per r che va da -n ad n, con 4nn!2/(2n)!Ön. Ma la sommatoria è la somma integrale di Riemann della funzione exp(-x2) mentre la frazione a secondo membro, per la formula di Wallis, è asintoticamente uguale a Öp. Così l'integrale di exp(-x2) tra -¥ e +¥ vale Öp. Poiché la dimostrazione della formula di Wallis richiede solo l'integrale di potenze della funzione seno, abbiamo una dimostrazione della nostra formula che non usa integrali doppi.
Ora che non ci sei più tu ad aiutarci, a tutti noi, tuoi allievi, sta di fronte l'antico imperativo:

Hic Rhodus, hic salta!

 Bibliografia


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