L'Analisi e l'interpretazione della Natura.
PIERO D'ANCONA

 Cosa sono la Matematica e l'Analisi? Noi matematici abbiamo il vizio di iniziare ogni discorso con una serie di definizioni. Purtroppo, in questo caso devo ammettere di non conoscere la risposta alla prima domanda (qualche filosofo della scienza dà una versione leggermente diversa della stessa risposta: "La Matematica è ciò che fanno i Matematici"). Anche per quanto riguarda l'Analisi, negli ultimi anni il rimescolamento tra i diversi settori è stato così profondo che è difficile davanti a certi risultati dire se appartengano alla Geometria, o all'Algebra, o all'Analisi.
Qui tenterò soltanto di dare un'idea generale di come funzioni e cosa sia l'Analisi, dei suoi metodi, e dei concetti fondamentali, ricorrendo ad una serie di esempi significativi. Chiariamo subito che la Matematica va molto al di là di quello che si studia nelle scuole superiori. La Matematica scolastica è in gran parte una versione semplificata di idee vecchie come minimo due secoli - ed è già un progresso, se si considera che ancora agli inizi del '900 il testo di studio nelle scuole superiori erano gli Elementi di Euclide. Le idee matematiche sono tra le conquiste più significative del pensiero umano, e giustamente vanno insegnate assieme a storia, filosofia, letteratura, etc.; ma ciò che si riesce a trasmettere con i metodi attuali ha poco a che vedere con le idee, e spesso si riduce a una serie di pratiche di calcolo, e ad una monumentale noia.
L'Analisi è nata insieme alla scienza moderna verso la metà del 1600, e si è subito rivelato uno strumento di straordinario e misterioso successo per "spiegare" la natura. Il successo di Newton nella predizione del moto dei pianeti fu così spettacolare e inaspettato da condizionare tutto lo sviluppo successivo del metodo scientifico, e si può dire che dal '700 in poi i fisici non hanno fatto altro che cercare di imitarlo. Anche se è difficile che ci riescano: stando alla testimonianza di Voltaire, Newton ebbe un funerale ditale fasto da sembrare quello di un re. Vedremo però che per i matematici la natura è solo il punto di partenza.
Cominciamo con due esempi primordiali di "matematica applicata", i numeri interi e la geometria euclidea. Si tratta di concetti così naturali da essere incorporati nella lingua comune, e ci vuole un po' di riflessione per riuscire a stupirsi del loro funzionamento. I numeri naturali nascono verosimilmente per risolvere un problema pratico: come padroneggiare un gruppo fatto di molti oggetti, troppi per essere sicuro a colpo d'occhio che non ne sia sparito qualcuno? (Per numeri bassi non c'è bisogno di contare: il cervello è in grado di percepire piccoli gruppi di oggetti, in media fino a cinque-sei, come una "forma", a cui corrisponde l'attivazione di singoli neuroni; un caso estremo, riportato da O.Sacks, è quello di due gemelli americani, calcolatori prodigio, che riuscivano a "vedere" gruppi di oggetti fino alla trentina). La risposta nota a tutti è:
basta contarli. Abbiamo così quello che si chiama un modello,i numeri interi, che noi matematici indichiamo con N.Ogni numero intero nrappresenta un gruppo di n oggetti; naturalmente in questo passaggio dalla realtà al modello ci dimentichiamo di tutto quello che non ci interessa relativamente al nostro problema, di che materiale sono fatti gli oggetti, quanto pesano etc., e ci concentriamo solo su "quanti sono". Fin qui niente di strano; ma se adesso abbiamo due gruppi di oggetti molto numerosi e li mettiamo insieme, per sapere quanti sono tutti insieme non c'è bisogno di ricontarli. Basta fare la somma dei due numeri. Cioè facciamo un'operazione sul modello, e miracolosamente il risultato ci fornisce un informazione sulla natura. Non credo che siate molto stupiti, ma se ci pensate bene è un fatto inspiegabile; perché mai un'operazione fatta su un foglio di carta dovrebbe dirmi, ad esempio, quante pecore in totale ci sono nel recinto? Questa capacità della matematica di predire la natura ("The unreasonable effectiveness of mathematics", E.Wigner) diventa sempre più sorprendente man mano che si considerano esempi più raffinati e meno primordiali, come vedremo; talvolta i conti fatti sul foglio danno risultati incredibili, eppure la verifica sperimentale conferma i risultati ottenuti (se i conti sono giusti...).
Secondo esempio: la geometria euclidea, che probabilmente nasce per risolvere un altro problema pratico, tenere sotto controllo degli appezzamenti di terreno. Se devo scegliere tra due pezzi di terreno da comprare, come faccio a sapere qual è il più grande? Il modello anche qui è estremamente naturale, una figura disegnata sul foglio. Ma poi per sapere quanto è grande il campo devo fare delle operazioni sul modello, e il risultato ottenuto, misteriosamente, esprime quanto è grande il campo. Se devo dividere il campo a metà, opero sempre sul modello, e naturalmente avrò bisogno di metodi che mi consentano di dividere a metà la figura disegnata; analogamente se voglio sapere quanti pali mi servono per recintare il campo, eccetera. In questo modo nasce una teoria che operando sulle figure disegnate sul foglio mi consente di ottenere informazioni
sulla situazione concreta.
Riassumendo e semplificando: un metodo efficace per descrivere e in certa misura porre sotto controllo la realtà è il seguente. Si costruisce un "modello matematico" che "corrisponde" agli aspetti della natura che ci interessano (stiamo facendo sia fisica, sia matematica); poi si costruisce una "teoria" (questa è matematica), che mi consente di operare sul modello e dedurre dei risultati relativi al modello; questi risultati, riportati nella situazione reale, danno delle informazioni concrete che spesso non si possono ottenere in altro modo. Per il matematico questo è solo l'inizio: la sua attività principale, una volta creato il modello, consiste nello sviluppo della teoria, spesso ben al di là delle possibilità di applicazione. Una volta inventato N,il matematico inventa la divisibilità, i numeri primi, la teoria dei numeri; e dalle figure piane si passa ai ben noti teoremi della geometria euclidea, al calcolo dei volumi, alle coniche, alla geometria proiettiva, eccetera. Si parla abitualmente di matematica "pura" e "applicata", ma va detto che l'uso di questi termini ha ormai pochissimo a che vedere con l'effettiva applicabilità dei risultati (sarebbe meglio distinguere tra matematici e ingegneri...).
I due esempi considerati sono un po' speciali, perché così antichi da far parte del nostro modo di pensare quotidiano, e inoltre non sono ancora Analisi. Ma nel '600 succede qualcosa di straordinario: in meno di un secolo nasce, ad opera di un piccolo gruppo di scienziati, un nuovo "modello" che fra l'altro consente di descrivere aspetti della natura fino ad allora sfuggiti al controllo, ossia la continuità, la velocità, il movimento. E verso la fine del secolo arriva Newton, che applica il modello, a cui ha già dato un contributo essenziale costruendo buona parte della teoria in concorrenza con Leibniz, per predire il moto dei pianeti (1687, Principia Mathematica). Con grande stupore dei contemporanei, le cui spiegazioni sul moto dei pianeti si limitavano a buoni dati sperimentali, qualche legge qualitativa, e dei goffi tentativi di mettere in relazione i pianeti conosciuti con i poliedri platonici - per non parlare delle comete, mosse direttamente dalla mano di Dio. Il lavoro di Newton fu il prototipo dell'attività dei fisici nei trecento anni successivi: con vario successo, dall'uso delle equazioni differenziali per descrivere i più disparati sistemi, alla teoria degli operatori in meccanica quantistica, alla geometria complessa e all'algebra omologica nelle teorie fisiche più recenti (senza trascurare l'uso, fatto da alcune piccole compagnie della Silicon Valley, di equazioni nonlineari nel tentativo di donare i chip appena lanciati sul mercato dalla Intel).
Un'ultima considerazione. L'Analisi è un settore relativamente giovane se paragonato ad Algebra, Geometria, Teoria dei Numeri; ma mi sembra che i concetti analitici siano già riusciti ad influenzare il modo di pensare comune. Un indizio di ciò è la difficoltà che tutti gli studenti senza eccezione provano a capire il paradosso di Zenone. Secondo Zenone, Achille non riesce a raggiungere la tartaruga, perché deve attraversare una successione infinita di segmenti. Ma per noi post-analitici, non c'è nulla di strano: uno spazio finito si può dividere in infiniti tratti sempre più piccoli. Evidentemente, il modo in cui noi vediamo "un tratto di spazio", un segmento, non è più quello di Zenone.

 Concetti fondamentali. Resi cauti da vari fallimenti, i matematici hanno elaborato un linguaggio un po' pesante ma molto solido per trascrivere e comunicare le loro deduzioni. Questo mette al riparo dagli errori e consente grande precisione e flessibilità, ma è anche il principale ostacolo alla comprensione da parte dei non addetti ai lavori. Al contrario, le idee che stanno dietro le dimostrazioni sono quasi sempre semplici e molto naturali (anzi, di solito un'idea è tanto più efficace quanto più è semplice e naturale). Qui cercherò di limitarmi alle idee, rinviando per esposizioni più rigorose ai numerosi testi disponibili.
Vediamo qualche concetto di base dell'analisi: funzione e suo grafico, continuità, derivata, integrale.
FUNZIONE: una legge che ad ogni numero x fa corrispondere un altro numero f(x) (quando dico "numero" pensate ai numeri decimali). Per esempio, se un uomo sta correndo, la sua posizione, misurata in metri dal punto di partenza, è una funzione f(t) del tempo t in cui la misuro; se invece voglio descrivere il moto di una mosca in volo, il modo più semplice è usare tre funzioni x(t), y(t), z(t) che mi dicono: di quanto si è spostata a destra o a sinistra, quanto si è spostata avanti o indietro, e quanto si è spostata in alto o in basso. In quest'ultimo esempio stiamo usando un sistema di assi cartesiani in tre dimensioni, il punto dove si trova la mosca è descritto da tre numeri (x, y, z), e dato che la mosca si muove i tre numeri sono funzione del tempo. Altri esempi: la quotazione della Lira è funzione del tempo, l'altezza della colonnina di mercurio è funzione della temperatura, l'area di un quadrato è funzione del suo lato. Si possono considerare anche funzioni di più variabili, cioè che dipendono da due o più numeri: la temperatura di un signore che prende il sole è funzione del tempo, e cambia da punto a punto del suo corpo; se descrivo i punti con il solito sistema avremo una funzione f(t, x, y, z) che ad ogni istante t e punto del signore (x, y, z) associa la temperatura corrispondente.
Con le funzioni si possono fare varie operazioni: possiamo considerare la somma f + g, cioè la funzione che in x vale f(x) + g(x); il prodotto fg; la funzione composta f o g che in x vale f(g(x)) (ad esempio: l'altezza della colonnina è funzione della temperatura la quale è funzione del tempo, la funzione composta sarà allora l'altezza della colonnina in funzione del tempo). Possiamo poi considerare la funzione inversa di una funzione data: se una grandezza y è funzione di una grandezza x, y = f(x), allora funzione inversa è quella che ad un valore y fa corrispondere quell'x tale che y = f(x); si scrivex - f-1 (y). Per capire meglio: l'area di un quadrato è funzione del lato, ma possiamo anche dire che il lato di un quadrato è funzione dell'area, e la seconda funzione è l'inversa della prima. Per concludere, una piccola lista di funzioni elementari note praticamente a chiunque, che useremo nel seguito: fx) = x2, xn,sin x, cos x,Ö x.
GRAFICO: se abbiamo una funzione f(x), possiamo "disegnarla" usando il ben noto procedimento degli assi cartesiani, e otteniamo una curva nel piano che ci consente di "vedere" la funzione e le sue proprietà: possiamo vedere se la funzione cresce, decresce, se ha un massimo (ossia assume un valore più grande di tutti gli altri), un minimo, eccetera. Anche una funzione di due variabili si può "disegnare" nello spazio, ottenendo una superficie; funzioni più complicate non si possono visualizzare in questo modo. Questa fu la grande idea di Cartesio: si possono usare metodi algebrici per studiare problemi geometrici, dato che le curve corrispondono a delle funzioni; e si può usare l'intuizione geometrica per risolvere problemi sulle funzioni. Attenzione a non confondere il grafico di una funzione con una traiettoria: per esempio il moto di un insetto sul tavolo sarà descritto da due funzioni x(t), y(t), ma il percorso dell'insetto non è il grafico di queste funzioni; esso è invece il grafico della funzione y = f(x) che esprime per ogni valore dell'ascissa x il corrispondente valore dell'ordinata y.
CONTINUITÀ: una funzione f(x) si dice continua se a piccole variazioni di x corrispondono piccole variazioni di f(x). Il grafico di una funzione continua sarà quindi una curva continua, senza interruzioni.
DERIVATA: data una funzione f(x), consideriamo il rapporto

 


detto rapporto incrementale. Esso ha un senso geometrico preciso: esprime l'inclinazione della retta passante per i punti del grafico corrispondenti a x e x + h (l'inclinazione è 0 per una retta orizzontale, 1 per una retta a 45°, eccetera). Se prendiamo valori di hsempre più piccoli, ossia in termini matematici facciamo il limite del rapporto per hche tende a zero, la pendenza si avvicinerà a quella della retta tangente al grafico in x. Il valore ottenuto si indica con f'(x), e si chiama la derivata di f nel punto x; abbiamo così ottenuto una nuova funzione a partire dalla prima. Se f(t) esprime la posizione di un oggetto in funzione del tempo, il rapporto incrementale esprime chiaramente la velocità media tra gli istanti t e t + h; mandando ha zero vediamo che è ragionevole interpretare f'(t) come la velocità "istantanea" dell'oggetto all'istante t (Newton). Nulla ci impedisce di continuare, e da f'(x)ottenere una nuova funzione derivata f"(x), detta derivata seconda. Un po' di riflessione mostra che f"(t) rappresenta l'accelerazione dell'oggetto all'istante t, ossia la rapidità con cui sta cambiando la sua velocità.
INTEGRALE: data una funzione f(x), ad esempio che assume solo valori positivi, possiamo definire il suo integraletra a e bcome l'area sotto il tratto di grafico tra x = a e x = b; esso si indica con il simbolo

 


(questo simbolo compare per la prima volta in una lettera di Leibniz). Calcolare questo tipo di aree per le funzioni più importanti era uno dei problemi più in voga tra i matematici del '600, spesso risolto con complicate considerazioni geometriche; ma il problema divenne elementare con l'avvento dell'Analisi, e infatti Newton, prima di impegnarsi nei Principia, aveva progettato di scrivere un trattato su quest'argomento. Anche l'integrale permette di ottenere dalla funzione f(x) una nuova funzione, tenendo fisso il primo estremo a e facendo variare il secondo:

TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO: F'(x) = f(x), ossia integrazione e derivazione sono operazioni l'una inversa dell'altra (Newton).
CALCOLO. Vediamo questi concetti al lavoro. Anzitutto, è facile calcolare le derivate delle funzioni elementari; per esempio

e quindi mandando ha zero si ottiene
(x2)'=2x

analogamente
(xn)'= nxn - 1

Con qualche conticino si ottiene

e con un po' di trigonometria
(sin x)' = cos x, (cos x)' = - sin x

È facile vedere che, date due funzioni f, g e una costante c,

 

(f+g)' = f' + g', (cf)' = cf', (fg)'= f'g + fg',

mentre per le funzioni composte si ha

 

(f(g))' = f'(g) g'

(Leibniz). Altri risultati elementari:
  1. In un punto di massimo o di minimo di f(x), si deve avere necessariamente f'(x) = 0 (infatti il rapporto incrementale di f nel punto x ha segno diverso a seconda che hsia maggiore o minore di 0, quindi il valore limite deve essere 0).
  2. Se f assume lo stesso valore in due punti a, b, allora tra di essi c'è un punto in cui f' = 0 (infatti tra a e b c'è un punto in cui f ha massimo o minimo). Conseguenza: dati due punti qualunque a, b, tra di essi c'è un punto in cui f' vale esattamente (f(b) - f(a))/(b - a)
    (basta applicare il risultato precedente alla funzione f(x) - (x - a)/(b - a)·(f(b) - f(a)).
  3. Le uniche funzioni che hanno derivata nulla in ogni punto sono le costanti (dal risultato precedente).

 Il moto dei pianeti. Il modello proposto da Newton per il movimento dei corpi si riassume nella nota formula F = ma,dove a è l'accelerazione, cioè come abbiamo visto la derivata seconda della posizione, mil peso del corpo, e Fla "forza" che agisce sul corpo. Naturalmente, finché non diamo un senso preciso alla forza non possiamo usare il modello. Useremo la seguente ipotesi: se due corpi hanno dimensioni molto più piccole della loro distanza, esercitano l'uno sull'altro una forza proporzionale al prodotto delle masse, e inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Proviamo allora a studiare il moto di un pianeta intorno al sole. Supporrò che il sole sia fermo nell'origine del sistema di riferimento, e chiamerò x(t), y(t), z(t) le coordinate del pianeta; quindi a = (x", y", z"). Inoltre dall'ipotesi sulla forza di attrazione gravitazionale segue, indicando con la distanza del pianeta dal sole, con m, Mle masse,


(anche la forza Fha tre componenti; qui gè una costante di proporzionalità detta costante di gravitazione universale) e quindi, se scriviamo per brevità a = gmMla legge del moto F = madiventa

 


Vogliamo risolvere queste equazioni. Dobbiamo fare una prima riduzione importante: l'orbita del pianeta si svolge su un piano. Dimostrarlo è facile, ma purtroppo serve un risultato sulle equazioni differenziali lineari e abbiamo strumenti insufficienti per introdurlo; daremo per scontato questo primo fatto. Allora si può supporre, cambiando sistema di riferimento, che z(t) = 0, cioè che l'orbita si svolga nel piano x, y. Ora le equazioni sono

 


dove . Per semplicità supporrò che a = 1 (ci si può sempre ricondurre a questo caso moltiplicando x, y per una stessa costante).
Moltiplichiamo la prima equazione per x', la seconda per y' e sommiamo:

dato che x"y'+y"y'=(x ' 2+y ' 2)' /2, mentre

la (1) diventa

e quindi

per una opportuna costante E(detta energia). Se invece moltiplichiamo la prima equazione per y, la seconda per xe sottraiamo, otteniamo

 

y"x - x"y = 0

e dato che y"x - x"y = [y'x - x'y]' questo implica

 

y'x - x'y = c

dove c è un'altra costante. Per scrivere le equazioni (2),(3) in forma più semplice poniamo adesso x = rcosq, y = rsin q, ossia scriviamo la posizione del pianeta usando la sua distanza dal sole e l'angolo di rotazione (r, q si chiamano le coordinate polari del pianeta). Otteniamo subito

 


Notiamo che la quantità ½r2q ' si può interpretare come la velocità alla quale varia l'area spazzata dal raggio vettore che unisce il sole al pianeta, detta velocità areale. Infatti in due istanti molto vicini t e t + h il raggio spazza un triangolo di altezza r(t) e base r(t)·(q(t + h) - q(t)), quindi un'area ½r2(q(t + h) - q(t)), e dividendo per il tempo impiegato he mandando ha zero otteniamo proprio ½r2q'. Dunque la seconda equazione dà subito una delle leggi di Keplero: la velocità areale è costante (e vale c/2). Sostituendo q' dalla seconda nella prima

Poniamo adesso u = 1/r, da cui u' = -r'/r2, e la prima equazione diventa

 

r4u'2 = 2E + 2u - c2 u2

che divisa per il quadrato della seconda dà

In questa equazione u(t), q(t) sono funzioni del tempo. Tuttavia è molto più facile determinare la traiettoria del pianeta, cioè u in funzione di q. Vogliamo quindi trovare f tale che u = f(q); in particolare sarà u(t) = f(q(t)) e derivando u' = f'(q)q' da cui u'/q'= f'. Sostituendo, l'equazione diventa

Semplifichiamo ponendo f = g + 1/c2:

da cui

Questa equazione differenziale molto semplice si può risolvere esplicitamente; per insufficienza di mezzi non mostro come si arriva alla soluzione, tuttavia è elementare verificare che la funzione seguente è effettivamente una soluzione (e in realtà le esprime tutte):

dove q0 è una costante arbitraria (l'angolo iniziale). Adesso, ricordando che u(q) = 1/r(q) = g + 1/c2, concludiamo che

Questa formula è la soluzione cercata: esprime la traiettoria del pianeta in coordinate polari. Si tratta di una conica (ellisse, parabola o iperbole, a seconda dei valori delle costanti). Con poche righe di calcoli elementari abbiamo ottenuto un risultato molto più preciso di tutte le varie leggi di Galileo, Keplero, Tycho Brahe, etc., sul moto dei pianeti; inoltre possiamo da alcune osservazioni di un corpo celeste (ad esempio una cometa) calcolare i parametri dell'orbita e predirne il moto futuro.
Con calcoli più complicati, ma simili nello spirito, si possono studiare sistemi composti di vari pianeti che si attraggono a vicenda. In tutto il '700 e nell'800 si perfezionarono molto tali tecniche; si arrivò a predire l'esistenza di un pianeta sconosciuto (Urano), e addirittura a calcolarne la posizione con notevole precisione, dalle perturbazioni nelle orbite dei pianeti più vicini che differivano leggermente dalle orbite calcolate. Per osservare il pianeta non restò altro da fare che puntare il telescopio nella direzione indicata dai calcoli. Di nuovo sorge la domanda: come è possibile che il modello sia così efficace? che con alcuni segni tracciati su un foglio si riesca a predire quello che avviene ad alcuni miliardi di chilometri di distanza?

 Le equazioni alle derivate parziali. Quello che abbiamo visto è solo un primo esempio elementare, benché molto significativo. Il vero salto di qualità nell'interpretazione della natura fu, a metà '700, l'introduzione delle equazioni alle derivate parziali.
Se abbiamo una funzione u(t, x) di due variabili, possiamo derivarla rispetto ad una variabile tenendo l'altra ferma; indicheremo con ut e ux le due derivate, dette parziali. Le derivate seconde adesso saranno tre: utt, utx e uxx. Il calcolo sviluppato per le funzioni di una variabile si estende senza difficoltà al caso più generale, con risultati simili. Un'equazione alle derivate parziali è una relazione tra le derivate di una funzione di due o più variabili, ad esempio

utt - c2uxx = 0 (equazione delle onde),
vxx + vyy = 0 (equazione di Laplace)
ut - uxx = 0 (equazione del calore).

Ovviamente risolvere l'equazione vuol dire trovare una funzione le cui derivate verifichino la relazione richiesta.
A metà '700 fu scoperto un fatto sorprendente: le equazioni alle derivate parziali consentono di descrivere con notevole precisione molti fenomeni estremamente complessi, e anzi permettono di predirli e spesso di "interpretarli" in modo nuovo; talvolta permettono di scoprire fenomeni sconosciuti. Vediamo gli esempi più importanti, corrispondenti alle tre equazioni elencate sopra.
A) OSCILLAZIONI E PROCESSI DI EVOLUZIONE. Il caso più semplice di moto oscillatorio è quello di una corda che vibra, muovendosi in un piano. Per descriverne il movimento si può usare una funzione di due variabili u(t,x), che esprime lo spostamento del punto x all'istante t rispetto alla sua posizione di equilibrio. Se si considera un tratto molto piccolo della corda, la sua accelerazione sarà data da utt; non è difficile vedere che la tensione della corda è invece proporzionale a uxx (con qualche ragionamento di carattere fisico), quindi applicando la legge di Newton F = ma si vede che la funzione u deve risolvere l'equazione seguente, detta delle onde:
utt - c2uxx = 0

Questo è il modello. Non è difficile dimostrare che tutte le soluzioni si scrivono nella forma

 

u(t,x) = f(x + ct) + g(x - ct),

dove f, g sono due funzioni di una sola variabile che possiamo scegliere in modo arbitrario.
Ad esempio prendiamo f = 0, quindi u(t, x) = g(x - ct), e proviamo ad interpretare questa soluzione. Il nostro modello ci dice che il moto della corda è il seguente: la "forma" della corda è sempre la stessa, data dal grafico della funzione g, e questa forma si sposta al crescere di t con velocità c. Ossia c'è un'onda che si sposta lungo la corda senza cambiare forma. Questo risultato è in ottimo accordo con i dati sperimentali, almeno per piccole oscillazioni. Se poi consideriamo la soluzione generale, vediamo che si possono avere due onde che si muovono in direzione opposta con la stessa velocità, si attraversano e si oltrepassano, senza mai cambiare forma; anche questa predizione è confermata dagli esperimenti.
Studiamo ora il moto di una corda con estremi fissati, ad esempio x = 0 e x = pT. Quindi dobbiamo trovare le soluzioni tali che u(t, 0) = u(t, pT) = 0. Ad esempio sono soluzioni

 

u(t, x) = sin(ct/T) · sin(x/T),    u(t, x) = cos(ct/T) sin(x/T)

e più in generale, per ogni intero n,

 

u(t, x) = sin(nct/T) · sin(nx/T),     u(t, x) = cos(nct/T) · sin(nx/T).

Ora osserviamo che l'equazione delle onde è lineare, ossia ha la seguente proprietà: la somma di due soluzioni e il prodotto di una soluzione per una costante sono ancora soluzioni. Pertanto sono soluzioni anche tutte le somme del tipo

(il sigma maiuscolo all'inizio significa: sommare su tutti t valori di n).Abbiamo ottenuto una soluzione molto generale del problema, e in effetti con qualche strumento in più sarebbe possibile vedere che la formula precedente rappresenta tutte le soluzioni. Questo metodo di risoluzione fu scoperto da Fourier agli inizi dell'800.
Proviamo ora ad interpretare la nostra formula. La funzione u(t, x) descrive il moto della corda, che si trasmette all'aria comprimendola e decomprimendola, e infine si comunica ai nostri timpani: essa quindi descrive il suono emesso dalla corda. Dall'espressione ottenuta sembrerebbe che il suono si decomponga in una combinazione di suoni "elementari" cioè di sinusoidi di frequenza crescente n/T;esse sono dette prima armonica, seconda armonica,eccetera. Per quanto questo risultato sia strano, esso è in accordo con gli esperimenti. Verifica: se si preme un tasto del pianoforte senza far suonare la corda, poi si suona con forza una nota ad un'ottava sopra (lunga la metà) e si lascia andare, si può sentire che la prima corda si è messa in vibrazione. Interpretazione: la prima corda può emettere suoni che sono somma di sinusoidi di frequenza n/T,la seconda emette un suono composto da sinusoidi di frequenza n/(T/2) = 2× n/T cioè doppia, quindi può mettere in vibrazione le frequenze corrispondenti nella prima. Notare che se si scelgono due tasti non distanti un'ottava il fenomeno non si verifica (o ha un'intensità trascurabile). In altri termini, scopriamo che sorprendentemente i suoni si comportano davvero come se fossero somma di armoniche.
Questa decomposizione dei suoni in armoniche è familiare a chi si interessa di musica o di alta fedeltà. Per esempio, per misurare la qualità della riproduzione di un amplificatore, si confronta la terza armonica del suono in entrata con quella del suono in uscita (distorsione della terza armonica: la prima e la seconda ormai sono riprodotte perfettamente da qualunque impianto). Altro esempio interessante: il suono digitale. Un modo efficace di conservare e riprodurre il suono è misurare (campionare) valori della funzione u(t, x) ad istanti successivi molto vicini tra loro; il suono ottenuto è crepitante con 20.000 dati al secondo, per avere un suono perfetto ne sono necessari almeno 40.000. Si tratta però di una massa di dati eccessiva, sia per l'insufficienza dei supporti di memoria (CD o cassetta digitale), sia per l'impossibilità di processare questo fiume di numeri ad una velocità adeguata per la riproduzione in tempo reale. Come tagliare i dati facendo il minor danno possibile al suono? Dalla decomposizione precedente la risposta è immediata: le armoniche successive sono sempre più deboli, quindi sempre meno importanti per la corretta riproduzione del suono. Il modo più efficiente per immagazzinare la massima informazione nei limiti richiesti è quindi decomporre il suono in armoniche, conservarne il massimo numero possibile, e tagliare tutte le rimanenti.
Un ultimo esempio, affascinante anche se non molto facile da capire: l'orecchio. La trasformazione del suono in impulsi elettrici da inviare al cervello avviene nella coclea, che si può schematizzare come un tubicino osseo pieno di liquido e dalle pareti sensibili alla vibrazione. Il suono entra da un lato del tubo, e si propaga sia attraverso il liquido sia attraverso l'osso. Le due onde corrono parallele, ma a velocità diverse; quindi lungo la parete del tubo si creano zone dove le due onde si sommano e zone dove si sottraggono. Se il suono è un'armonica pura, il punto dove le onde si sommano, qundi la parete è eccitata di più, dipende dalla frequenza dell'armonica. Quando il suono è complesso, le diverse armoniche eccitano ognuna una zona diversa del tubo: l'orecchio fa l'analisi armonica del suono, e invia i dati al cervello.
Analogamente alla corda vibrante si può studiare il moto di una membranavibrante; per descrivere la posizione della membrana avremo bisogno di una funzione di tre variabili u(t, x, y), e l'equazione è
utt - uxx - uyy = 0

Anche in questo caso c'è un ottimo accordo con gli esperimenti. Se avete mai provato a mettere della sabbia fine su un altoparlante, avrete visto disegnate dalla polvere la forma delle prime armoniche, soluzioni elementari dell'equazione precedente.
A questo punto dovreste essere in grado di scrivere da soli l'equazione che descrive le vibrazioni di un corpo tridimensionale. Ma i fenomeni oscillatori non sono limitati al campo delle vibrazioni meccaniche. Anche i campi elettrici e magnetici sono oscillazioni, e sono descritti da soluzioni dell'equazione delle onde.
Equazioni ancora più generali dette iperbolicheconsentono di descrivere e predire sistemi ancora più complessi, come il movimento dei fluidi e del plasma, e in genere si può dire che la maggior parte dei sistemi fisici che si evolvono nel tempo sono governati da equazioni iperboliche. Ad esempio sono iperboliche (e in parte ellittiche) le equazioni della relatività generale, che descrivono la forma dell'universo soggetto a forze gravitazionali ed elettromagnetiche. Altri esempi di applicazione delle equazioni iperboliche: previsione del tempo, aerodinamica, onde d'urto, propulsione di aerei e razzi, trasmissioni radio, circuiti elettronici, viaggi nel tempo...
B) ELASTICITÀ ED EQUILIBRIO. Formiamo un cappio con un filo di ferro, immergiamolo nell'acqua saponata e tiriamolo fuori. Come si fa a predire la forma della membrana saponata? Avremo bisogno di una funzione di due variabili, v(x,y), che esprime l'altezza della membrana sopra il punto (x, y). Con considerazioni fisiche elementari si arriva all'equazione
vxx + vyy = 0

(equazione di Laplace). In questo caso l'equazione esprime in modo preciso il fatto che ogni pezzetto della membrana è tirato dai circostanti con la stessa forza in tutte le direzioni. Infine, dato che vogliamo che la membrana si appoggi al filo di ferro, dobbiamo assegnare il valore di v(x,y) per t punti del bordo; questo dato si chiama con scarsa fantasia condizione al bordo.
Anche in questo caso l'accordo con gli esperimenti è notevole; per esempio, dallo studio dell'equazione è facile dimostrare che la soluzione non può avere un massimo interno,cioè la membrana non presenta "gobbe"; che la soluzione è molto regolare anche se la condizione al bordo non lo è, cioè la membrana è liscia anche se il filo di ferro ha degli spigoli; eccetera.
L'equazione di Laplace, e il relativo problema al bordo, sono il prototipo di una classe vastissima di equazioni differenziali dette ellittiche.Esse permettono di descrivere accuratamente fenomeni di equilibrio, in particolare in teoria dell'elasticità. Che forma assume una palla di gomma schiacciata alle estremità con due dita? Che forma assume una galassia che ruota (forze in gioco: attrazione gravitazionale ed elettrostatica, campi magnetici, forza centrifuga, pressione della luce...)? Qual è la forma di un filo d'acqua che scende da un rubinetto?
C) CALORE E PROCESSI DIFFUSIVI. Prendiamo un filo metallico e riscaldiamolo in modo disuguale nei vari punti. Il calore si distribuirà lungo tutto il filo. Come si evolve nel tempo la temperatura del filo? Anche qui serve una funzione u(t, x) di due variabili, che esprime la temperatura del punto x all'istante t. L'equazione che si ottiene è
ut - uxx = 0

detta equazione del calore; l'accordo con i dati sperimentali è buono.
Un aspetto interessante di questa equazione è la proprietà detta irreversibilità temporale.Se si assegna il valore di u(0, x) cioè la distribuzione del calore all'istante 0, è sempre possibile risolverla per t > 0, e la soluzione è sempre più regolare (il calore si distribuisce in modo sempre più diffuso); ma non è possibile in genere risolverla per t < 0. In altri termini, se scegliamo una qualunque distribuzione di calore lungo il filo u(0, x), non è detto che esista una soluzione la quale, col passare del tempo, riproduca la distribuzione che abbiamo scelto. Si tratta di un fenomeno completamente diverso da quelli visti in meccanica ad esempio, dove se è possibile un certo movimento allora è possibile anche il movimento esattamente inverso (le equazioni della meccanica sono reversibilirispetto al tempo). In altri termini, la propagazione del calore è un fenomeno di tipo diverso da quelli meccanici, nel quale il tempo ha una direzione privilegiata: quella in cui aumenta l'entropia (il "caos").
L'equazione del calore è il prototipo delle equazioni paraboliche,utilizzate per descrivere vari processi diffusivi: diffusione di un mezzo in un altro, moto browniano, eccetera.

 Meccanica quantistica. In questo settore il ruolo giocato dalla matematica, e soprattutto dall'analisi, raggiunge dei livelli sconcertanti. Vi sono alcune particelle elementari che nessuno ha mai "visto", qualunque significato si voglia dare all'espressione, e la teoria stessa predice che è pressoché impossibile vederle. Allora cosa sono? Sono soluzioni di certe equazioni differenziali, la cui esistenza è resa necessaria dalla coerenza della teoria: se esse non esistessero, la teoria crollerebbe. D'altra parte, la teoria spiega con precisione e completezza assoluta moltissimi fenomeni atomici e subatomici, quindi deve essere vera
Tutto cominciò alla fine dell'800, quando ci si dovette arrendere all'evidenza che esistono in natura degli oggetti molto piccoli, che in alcuni casi si riesce a vedere concretamente anche se in modo indiretto, ad esempio dalle scie che tracciano in una scatola piena di vapore; e che questi oggetti non obbediscono alle leggi fisiche valide per gli oggetti macroscopici. Anzi, non si comportano neanche come oggetti: per esempio un fascio di fotoni che passa attraverso una fenditura strettissima si sparpaglia a ventaglio, e si distribuisce secondo uno strano disegno in zone più dense e meno dense. È chiaro che non si può sperare di descrivere un fotone nello stesso modo di un oggetto che si muove nello spazio, ossia usando tre coordinate x(t), y(t), z(t).
L'idea chiave che permise di trovare un modello adatto a descrivere questi oggetti è francamente bizzarra, e i fisici la accettarono solo perché i risultati forniti dal modello erano in straordinario accordo con i dati sperimentali. Dunque, una particella non è un "oggetto" che sta in un punto dello spazio in un certo istante. Per descrivere una particella si deve usare una funzione y(t, x, y, z) dipendente dal tempo e dal punto (x, y, z); se si vuole immaginare il significato di questa funzione si può pensare (in modo impreciso): y(t, x, y, z) esprime la probabilità di trovare la particella nel punto (x, y, z) all'istante t, se si va a "guardare" in quel punto in quel momento (ma attenzione, dopo l'osservazione la funzione y cambia...). In un certo senso, una particella indisturbata è "diffusa" in tutto lo spazio; se la funzione è molto concentrata in una certa zona, allora la particella è più in quella zona che nelle altre. Con le tecnologie attuali si possono fare esperimenti inimmaginabili ai tempi eroici della Meccanica Quantistica, ad esempio lanciare un singolo fotone contro delle fenditure, o tenere sospeso un singolo atomo in un campo magnetico e lanciargli contro un fotone: sorprendentemente, le particelle si comportano davvero come se fossero contemporaneamente in vari punti dello spazio...
La funzione y si chiama funzione d'ondadella particella. In uno dei primi modelli della meccanica quantistica, (che permetteva di descrivere bene solo i sistemi più semplici), si richiede che la funzione sia una soluzione dell'equazione di Schrödinger


In seguito Dirac costruì un modello più preciso, basato sull'equazione di Klein-Gordon
utt + m2u = uxx + uyy + uzz

(è curioso come anche le particelle elementari siano governate dall'equazione delle onde). Dirac sosteneva di essere arrivato al suo modello seguendo principalmente delle considerazioni estetiche.
In questo settore lo scambio fra modello e interpretazione della natura è particolarmente vivace. Negli ultimi decenni, tra teoria ed esperimenti si è svolta una partita di tennis che sembra destinata a durare ancora: le nuove particelle previste dalla teoria vengono osservate sperimentalmente, la loro osservazione porta a scoprire fenomeni nuovi, questo rende necessario modificare la teoria, eccetera. Va anche detto che i fisici teorici contemporanei non si accontentano più dell'Analisi, ma tentano di utilizzare in modelli sempre più complessi altri settori della Matematica. (In una delle teorie recenti le particelle sono descritte da microscopiche "stringhe", delle piccole curve chiuse in uno spazio a 26 dimensioni; fortunatamente 16 di queste dimensioni sono troppo piccole per essere osservate, e solo le restanti 10 sono veramente "fisiche"...)

 Massimi e minimi: il calcolo delle variazioni. Ritorniamo alla semplice idea: se la funzione f(x)ha un massimo o un minimo nel punto x, allora f' (x) = 0, e vediamone qualche sviluppo. Si tratta di un'idea molto potente, che ci consente di risolvere in poche righe problemi altrimenti abbastanza complessi. Per esempio, se vogliamo recintare un pezzo di terreno rettangolare sulla riva di un fiume, con un recinto di 100 metri, qual è la massima area che posso racchiudere? Se si affronta il problema per via geometrica, la soluzione non è molto semplice. Usando l'analisi invece il conto è banale: detto x il lato perpendicolare al fiume, gli altri due lati sono lunghi x e 100- 2x; l'area è f(x) = x(100 - 2x) = l00x - 2x2; pertanto f'(x)= 100 - 4x, e chiaramente f' si annulla soltanto nel punto x = 25, quindi l'area massima è f(25) = 1250. Problemi di massimo e minimo si incontrano in moltissimi settori pratici, ad esempio sono di vitale importanza in vari processi industriali; e, molto frequentemente, come sottoproblemi di problemi più complessi.
Come al solito, per i matematici questo non è che l'inizio. Finora abbiamo considerato funzioni che ad un numero ne associano un altro. Ma nessuno ci impedisce di considerare funzioni di tipo più complicato, che ad una funzione associano un numero; funzioni di questo tipo di solito si chiamano funzionali.Ad esempio: il funzionale che associa ad ogni curva la sua lunghezza; quello che ad ogni posizione di una membrana associa la sua energia; quello che ad ogni traiettoria di un corpo associa il lavoro compiuto, eccetera. In tutti questi casi, un problema fondamentale è trovare i massimi e minimi di questi funzionali; per esempio, qual è la curva di lunghezza minima che unisce due punti?
Vediamo come si procede. Prendiamo due punti P,Q del piano, ad esempio di coordinate P = (0, a) e Q = (0, b); una curva che li unisce ad esempio si può descrivere come il grafico di una funzione f(x) tale che f(0) = a, f(1) = b. Come si calcola la lunghezza della curva? Supponiamo che il grafico di f sia una spezzata; consideriamo un segmento che va dall'ascissa x all'ascissa x + c, la sua pendenza sarà f'(x), quindi il segmento è lungo ; poi bisogna sommare le lunghezze di tutti questi segmenti, e si ottiene

 


che si può anche scrivere

Approssimando una qualunque curva con spezzate sempre più fitte, non è difficile vedere che la formula precedente fornisce in generale la lunghezza del grafico di f. Abbiamo ora il nostro funzionale L(f), che chiaramente non ha massimo ma ha minimo. Come facciamo a calcolare il minimo?
Ricorriamo ad un piccolo trucco. Consideriamo una funzione h(x) tale che h(0) = h(1) = 0, in modo che il grafico di f + hsia ancora una curva da Pa Q. Definiamo ora una funzione f(a) nel modo seguente:

 f(a) = L(f + ah).


Se f è la soluzione del nostro problema, cioè la curva più corta da Pa Q, sicuramente f(a) deve avere un minimo per a = 0, e quindi f'(0) = 0. Proviamo a scrivere questa condizione: si ha

 


da qui con semplici calcoli

e quindi la nostra condizione si scrive

Ora devo usare una semplice proprietà degli integrali, l'integrazione per parti, secondo la quale se il prodotto gh si annulla sia in 0 che in 1
(dimostrazione: (gh)' = g'h + gh'; integrando tra 0 e 1, g(1)h(1) - g(0)h(0) = da cui la tesi). Concludendo si ottiene

Dato che questo integrale deve annullarsi per qualunque funzione h,non è difficile vedere che si deve avere necessariamente

ossia

e quindi la nostra condizione si riduce a
f"= 0.

Risolvere questa equazione differenziale è semplicissimo: (f')' = 0 implica subito f' = C1(costante), quindi anche (f - C1 x)' = 0, quindi f - C1x = C2(altra costante) ossia
f = C1x + C2.

Insomma, la curva più corta da Pa Q è una retta.
Non è un risultato sorprendente, ma il fatto notevole è che abbiamo trovato un metodo molto efficace per calcolare minimi e massimi di funzioni molto più complicate di quelle tradizionali, funzioni di funzioni. Con lo stesso metodo (ma calcoli estremamente più complicati) si può determinare la forma della superficie minima tesa su filo di ferro (problema di Plateau), o la curva nel piano che racchiude la massima area (problema isoperimetrico), o il moto di un sistema meccanico molto complesso. Anzi, quasi tutti i problemi fisici si possono esprimere come problemi di calcolo delle variazioni per opportuni funzionali, detti lagrangiane;e in fisica teorica uno dei problemi principali è scoprire delle lagrangiane adeguate a descrivere un dato sistema di particelle.

 L'Analisi del'900. Nell'ultimo secolo l'Analisi si è molto evoluta rispetto agli inizi; sono nate numerose teorie fondate su idee e modi di pensare del tutto nuovi, ben diversi dal Calcolo tradizionale. Ho già citato l'idea di considerare le funzioni come punti di opportuni spazi, che è alla base dell'Analisi Funzionale; la teoria delle Equazioni Differenziali ha generato una massa imponente di nuovi concetti, spesso ai confini con la Geometria e l'Algebra; la Topologia si occupa di insiemi in cui è definito un concetto di "vicinanza" tra i punti (e nient'altro), e ne studia le proprietà; l'Analisi Nonlineare estende agli spazi di funzioni idee proprie del Calcolo tradizionale, con risultati molto generali e potenti.
Per concludere ho scelto un bellissimo teorema di Analisi Nonlineare, dimostrato ai primi del secolo da Brouwer (Teorema del punto fisso di Brouwer). È un esempio divertente che mostra come anche per l'Analisi moderna vale la solita regola: l'interpretazione concreta di un risultato può fornire informazioni inaspettate sulla realtà.
Immaginate una tazza di caffè con sopra un sottile strato di panna. Immergiamo un cucchiaino e mescoliamo delicatamente, in modo che la pellicola di panna non si rompa. Aspettiamo che il caffè si fermi. Il Teorema di Brouwer afferma: non importa quanto a lungo e con quanta cura abbiamo mescolato, c'è un punto dello strato di panna che si trova esattamente nella stessa posizione di partenza!
Proviamo a costruire un modello per questa situazione. Se chiamiamo xun punto del disco di panna, possiamo indicare con f(x)la sua nuova posizione. Abbiamo quindi una funzione Fdal disco in sé. Questa funzione è continua:ciò corrisponde alla richiesta di mescolare senza rompere lo strato. Vorremmo cercare di dimostrare che esiste un punto xtale che x = F(x);questo si dice un punto fissoper la funzione F.Ora possiamo formulare il teorema (in dimensione 2): ogni funzione continua dal disco in sé ha almeno un punto fisso.
Proviamo a dare una dimostrazione semi-rigorosa del teorema. Percorriamo il bordo cdel disco; ogni punto verrà spostato di un certo segmento. Riportiamo tutti questi segmenti con l'origine in uno stesso punto P;l'altro estremo del segmento percorrerà una curva g che gira intorno a P.Osserviamo che se su csi trova un punto fisso, il corrispondente segmentxspostamento sarà nullo, quindi la curva y passa per P.Dunque: se su cc'è un punto fisso, abbiamo terminato, altrimenti sappiamo che g gira intorno a Psenza toccarlo. Ora contraiamo la circonferenza cdi pochissimo, e ripetiamo il procedimento: otterremo una curva g un po' diversa da quella di prima. Continuiamo a contrarre c,fino a ridurla ad un punto O,ad esempio il centro del disco. In questo caso, cosa è diventata la curva g? Chiaramente anch'essa si è contratta ad un punto. Ma dato che nella posizione iniziale g girava intorno a P,non è possibile che Psia uscito dalla curva senza attraversarla. Quindi ad un certo punto, Psi è trovato sulla curva g: abbiamo scovato il punto fisso.
(La precedente dimostrazione può sembrare troppo vaga a chi ha già qualche esperienza del rigore matematico: ma in effetti è abbastanza facile trasformarla in una dimostrazione rigorosa. L'unica difficoltà consiste nel definire esattamente cosa vuol dire che un curva "gira intorno" ad un punto; provate a pensarci...).
Il teorema vale anche se al posto di un disco si considera un rettangolo (anzi, un qualunque insieme ottenuto dal cerchio con una deformazione continua; come si fa a dimostrarlo?). Per esempio, prendiamo un foglio di carta e appoggiamolo sul tavolo; ogni punto del foglio ha una certa posizione. Poi pieghiamo il foglio, stropicciamolo, appallottoliamolo senza strapparlo, e schiacciamolo di nuovo sul tavolo all'interno dello spazio che occupava prima. Conclusione: c'è un punto del foglio che si trova esattamente nella stessa posizione in cui si trovava prima. Non è sorprendente?
Il teorema vale anche in dimensione superiore, ad esempio se mescoliamo (delicatamente!) la tazza piena di caffè alla fine ci sarà una molecola di caffè nella stessa posizione di partenza. Ma ci sono insiemi per cui il teorema non vale: ad esempio è facile trovare una funzione continua da una corona circolare in sé che sposta tutti i punti (quale?).